TRIBUNALE ORDINARIO DI NAPOLI 
    Sezione del Giudice per le indagini preliminari - Ufficio 26° 
 
    Il Giudice per l'udienza preliminare, dott.  Dario  Gallo,  letti
gli atti del procedimento penale in epigrafe indicato, nei  confronti
di F.C., nato a N. il..., ivi residente alla via... n. ... (domicilio
dichiarato dall'imputato ex art. 161 codice di  procedura  penale  in
data 7 luglio 2014), difeso di fiducia dall'avvocato Marco  Zeno  del
foro di Napoli, con studio in Napoli, corso Quattro  Novembre  n.  49
(tel./fax:      081/5729933;      cell:      3394096053;      e-mail:
marcozeno@libero.it); imputato: 
        a) del delitto p. e p.  dall'art.  600-ter  comma  primo  del
codice penale, per aver indotto F.D.M., persona minore degli anni 18,
a  partecipare  ad  esibizioni  pornografiche  e  inoltre  per  aver,
utilizzando  la  predetta  minore,  prodotto  materiale  pornografico
consistente in circa 60 fotografie scattate dalla D.M. ed inviate  al
F. tramite il social network denominato Facebook ritraenti la  minore
nuda e, in particolare, ritraenti il sedere e la vagina della  stessa
e numerose altre pose di natura inequivocabilmente pornografiche. 
        In Olbia e Napoli dall'estate 2012 di dicembre 2013; 
        b) del delitto p. e p. dall'art. 612-bis, comma 1°,  2°,  3°,
del codice penale, perche'  con  condotte  reiterate  di  minaccia  e
molestia nei confronti  di  F.D.M.  ed,  in  particolare,  inviandole
numerosi messaggi tramite Whatsapp e Viber con la quale la minacciava
di inviare a C.D.M. e B.E. compagna di  A.G.,  le  sue  conversazioni
intrattenute con quest'ultimo su  Facebook,  nonche'  minacciando  la
pubblicazione di fotografie che ritraevano la D.M. nuda di  circa  60
foto,  sul  social  Facebook  se  non  avesse  ripreso  la  relazione
sentimentale con lui, cagionava alla predetta persona  offesa  F.d.M.
un perdurante stato di ansia oltre che di paura. 
        In Olbia nel dicembre 2013. 
        Competenza radicata ex art. 16 c.p.p. 
    Identificata la persona offesa - costituitasi parte civile -  in:
D.M.F. nata a Olbia (SS) il 30 marzo  1997,  rappresentata  e  difesa
dall'avv. Giommaria Uggias del foro  di  Tempio  Pausania  (SS),  con
studio in Olbia (SS), via  Carducci  n.  5  (tel.:  0789641052;  fax:
0789641261; e-mail: studiolegale@uggias.it) presso cui domicilia; 
    Letta la memoria depositata in data 24 febbraio 2017, con cui  il
difensore dell'imputato ha chiesto, in via preliminare, di  sollevare
domanda  di  pronuncia  pregiudiziale   alla   Corte   di   giustizia
dell'Unione  europea  ai  sensi  dell'art.  267  del   Trattato   sul
funzionamento dell'Unione europea (T.F.U.E.) sulla seguente questione
interpretativa: se  l'art.  47,  par.  2,  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea, per come  richiamata  nell'art.  6,
par. 1, del  Trattato  sull'Unione  europea  (T.U.E.),  debba  essere
interpretato nel  senso  di  imporre  al  giudice  nazionale  di  non
applicare la normativa nazionale che esclude l'incompatibilita'  alla
funzione di giudice dell'udienza preliminare del giudice che,  avendo
ravvisato, nel corso  della  stessa  udienza  preliminare,  un  fatto
diverso da quello contestato, abbia invitato il pubblico ministero  a
procedere, nei confronti della stesso  imputato  e  per  il  medesimo
fatto storico, alla modifica dell'imputazione, invito cui il pubblico
ministero abbia aderito; 
    Udite le conclusione rassegnate dalle  parti  all'udienza  del  6
marzo 2017 ed a scioglimento della riserva assunta in detta udienza; 
Sommario. 
    1. L'oggetto del procedimento ed i fatti pertinenti. 
    2. L'invito al pubblico ministero a modificare l'imputazione e la
sentenza della Corte costituzionale n. 18/2017. 
    3. La domanda di pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia
dell'Unione europea. 
    4. La questione di legittimita' costituzionale. 
 
                              Osserva. 
 
    La  richiesta  di   presentazione   di   domanda   di   pronuncia
pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea deve essere
disattesa  perche'  l'oggetto  della  causa   non   presenta   alcuna
connessione con il diritto dell'Unione. 
    Deve, invece, essere  sollevata,  di  ufficio,  la  questione  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2°,  del
codice  di  procedura  penale  nella  parte  in   cui   non   prevede
l'incompatibilita'  alla   funzione   di   trattazione   dell'udienza
preliminare per il giudice che, avendo  ravvisato,  nel  corso  della
stessa udienza preliminare, un fatto diverso  da  quello  contestato,
abbia invitato il pubblico ministero a procedere, nei confronti dello
stesso imputato e  per  il  medesimo  fatto  storico,  alla  modifica
dell'imputazione ed il pubblico ministero abbia  a  tanto  aderito  -
perche' in contrasto con l'art. 117, comma 1°, della Costituzione  in
relazione all'art. 6, par. 1, della Convenzione europea  dei  diritti
dell'uomo (C.E.D.U.), con  riguardo  all'imparzialita'  del  giudice,
come risultante dalla consolidata giurisprudenza della Corte  europea
dei diritti dell'uomo. 
1. L'oggetto del procedimento ed i fatti pertinenti. 
    Il procedimento ha ad oggetto la delibazione della  richiesta  di
rinvio a giudizio presentata, in data 25 novembre 2014, dal  pubblico
ministero nei confronti di  F.C.,  originariamente  per  i  reati  di
divulgazione di materiale pornografico minorile (art. 600-ter,  comma
3°,  c.p.)  e  tentata  violenza  privata  (articoli  56-610   c.p.),
successivamente modificata su  invito  formulato  da  questo  giudice
all'udienza preliminare del 3 giugno 2015 - nei reati  di  produzione
di materiale pornografico minorile (art. 600-ter, comma 1°, c.p.)  ed
atti persecutori (art. 612-bis, commi 1°, 2° e 3° c.p.). 
    F.C., di anni 48, e' stato denunciato da D.M.C. e  B.R.  di  aver
avuto, nell'estate del 2012, quando fu ospitato nella  loro  casa  in
Sardegna, una relazione sentimentale con la loro  figlia  D.M.F.,  di
anni  15,  caratterizzata  da  «effusioni  sessuali»,  anche  se  non
sfociate  in  «rapporti  sessuali  completi»;  inoltre,  secondo   la
denuncia, a partire della menzionata estate e fino  al  dicembre  del
2013,  il  F.,  tramite  social-network,  ha  indotto  la  minore  ad
effettuare su se stessa e ad inviargli foto di  natura  pornografica,
poi da lui utilizzate per costringere la ragazza, sotto  la  minaccia
della  diffusione  del   materiale,   a   riprendere   la   relazione
sentimentale. 
    All'esito   delle   indagini   preliminari    -    caratterizzate
dall'escussione   della   minore,   dall'assunzione    di    sommarie
informazioni testimoniati, dall'acquisizione di messaggi e foto -  il
pubblico ministero chiedeva il  rinvio  a  giudizio  di  F.C.  per  i
seguenti reati: 
        a) del delitto p. e p. dall'art. 600-ter comma III del codice
penale, perche' attraverso il  social  network  Facebook  e  mediante
l'utilizzo del profilo A.I. dopo aver pubblicato il post: «buongiorno
a tutti oggi inizia la caccia al tesoro ovvero  come  sputtanare  una
ragazza su face book  mettero'  dei  pezzi  di  una  foto  e  dovrete
indovinare che parte e' e il nome della persona che le appartiene. E'
una foto molto piccante al vincitore andra' un intero  book  di  foto
piccanti di questa persona ne sono piu' di 60 e ne fara'  quello  che
vuole, si accettano richieste di amicizia piu' ne  siamo  meglio  e',
fate  girare  questo  stato  tra  poco  la  prima  immagine  e   buon
divertimento», divulgava fotografie di natura pornografica  ritraenti
il sedere e la vagina della minore D.M.F. nata il ... 
        In Napoli nel dicembre 2013; 
        b) del delitto p.e p. dagli articoli 56  del  codice  penale,
610 del codice penale,  perche'  con  piu'  azioni  esecutive  di  un
medesimo disegno  criminoso,  inviando  a  D.M.F.  numerosi  messaggi
attraverso l'utilizzo delle chat wattsapp e  viber  con  i  quali  la
minacciava di inviare  a  D.M.C.,  padre  della  minore,  e  a  B.E.,
compagna di A.G., le sue conversazioni sul  social  network  facebook
con A.G. se non avesse interrotto la presunta relazione  sentimentale
con lo stesso, nonche' minacciando la pubblicazione di fotografie che
ritraevano la minore nuda sul social network Facebook - pubblicazione
poi avvenuta e di cui al capo A - se non avesse ripreso la  relazione
sentimentale con lui, compiva atti idonei  in  modo  non  equivoco  a
costringere D.M.F. ad interrompere i contatti con A.G. e a riprendere
la relazione sentimentale con lui. 
        In Olbia nel dicembre 2013. 
    Competenza radicata ex art. 16 codice di procedura penale. 
2. L'invito al pubblico ministero a  modificare  l'imputazione  e  la
sentenza della Corte costituzionale n. 18/2017. 
    All'udienza  preliminare  del  3  giugno  2015,  questo  giudice,
ritenendo che i fatti accertati fosse  diversi  da  come  contestati,
invitava il  pubblico  ministero  a  modificare  l'imputazione  e  il
rappresentante dell'accusa,  in  adesione  all'invito,  contestava  i
reati di produzione di materiale  pornografico  minorile  e  di  atti
persecutori, come in epigrafe indicato. 
    Tanto avveniva in applicazione della consolidata  interpretazione
giurisprudenziale espressa dalle Sezioni unite della Suprema Corte di
cassazione,  secondo  cui  il   giudice,   allorquando   nell'udienza
preliminare accerta che il fatto e' diverso da come  descritto  nella
richiesta di rinvio a giudizio, deve in  prima  battuta  invitare  il
pubblico  ministero  a  modificare  l'imputazione  e,  solo  ove   il
rappresentante della pubblica accusa non si adegui all'invito,  puo',
in  applicazione  analogica  dell'art.  521,  comma  2°,  codice   di
procedura penale, disporre la trasmissione  degli  atti  al  pubblico
ministero, determinando la regressione del procedimento ad  una  fase
anteriore  (la  trasmissione  non  preceduta  dall'invito  e'   stata
qualificata come «atto abnorme»: Corte di cassazione, Sezioni  Unite,
sentenza 20 dicembre 2007 - 1° febbraio 2008, n. 5307, Battistella). 
    Questo il testo dell'ordinanza con cui si  invitava  il  pubblico
ministero a modificare l'imputazione: 
        il fatto rubricato al capo a) dell'imputazione e' diverso  da
come contestato; 
        in punto di fatto  e'  emerso  che  e'  stato  l'imputato  ad
indurre la minore,  con  cui  aveva  una  relazione  sentimentale,  a
realizzare le fotografie di natura pornografica. 
    Ci  troviamo  di  fronte  ad  una   ipotesi   di   autoproduzione
consensuale di materiale pedopornografico  (cd.  sexting),  materiale
che e' stato successivamente, sia  pure  solo  in  parte,  pubblicato
dall'imputato sul social network «Facebook»,  attraverso  il  profilo
A.I. 
    Il fatto accertato integra  gli  estremi  del  reato  previsto  e
punito dal comma 1 dell'art. 600-ter del  codice  penale  e  non  dal
comma 3 dello stesso articolo. 
    Il    materiale    autoprodotto    ha    certamente     contenuto
pedopomografico, ai sensi del 7° ed ultimo  comma  dell'art.  600-ter
del codice  penale,  come  introdotto  dalla  legge  n.  172/2012  di
esecuzione della Convenzione di Lanzarote del  2007  (cfr.  art.  20,
comma 2°, della Convenzione), secondo cui per «pornografia  minorile»
deve intendersi «ogni rappresentazione, con qualunque  mezzo,  di  un
minore degli anni diciotto coinvolto in attivita' sessuali esplicite,
reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi  sessuali
di un minore degli anni diciotto per scopi sessuali». 
    Inoltre,  per  effetto  della  ratifica   ed   esecuzione   della
Convenzione  di  Lanzarote,  tenuto  anche  conto   della   direttiva
2011/93/UE, il reato di produzione di materiale pedopornografico  non
richiede  ne'  lo  sfruttamento,  ne'   l'approfittamento,   ne'   la
mercificazione, ne' la manipolazione del minore e lo  Stato  italiano
non ha scelto, in sede di ratifica, di escludere la punibilita' nelle
ipotesi caratterizzate da consensualita' dell'autoproduzione e  della
relativa detenzione da parte degli stessi minori  (facolta'  concessa
dalla seconda parte del punto 3 dell'art. 20 della Convenzione). 
    Il consenso  del  minore  ultraquattordicenne  non  ha  efficacia
scriminante atteso che lo Stato italiano, in sede di  ratifica  della
Convenzione,  pur  potendolo  fare,  non  ha  inteso  introdurre  una
clausola del tipo di quella prevista dall'art. 609-quater del  codice
penale. 
    Nella condotta denunciata sussistono gli estremi del reato di cui
al comma 1° dell'art. 600-ter del codice penale. 
    La norma  de  qua,  infatti,  «presiede  alla  tutela  di  quelle
situazioni  nelle  quali  siano  individuabili  indici  di   concreto
pericolo che l'attivita' posta in  essere  sia  idonea  a  soddisfare
l'esigenza di un vasto mercato di pedofili» (cfr. Cassazione  Sezioni
unite n. 13/2000 e Cassazione sez. III, n. 11997/2011) (1) . 
    Nella fattispecie in esame, «il concreto pericolo di una vasta ed
indiscriminata  diffusione»  del  materiale  pornografico  realizzato
dall'imputato e' agevolmente  desumibile  dal  numero  di  fotografie
realizzate,  dagli  strumenti  tecnici  utilizzati,  dagli   apparati
informatici posseduti, nonche',  e  soprattutto,  dalla  condotta  di
parziale divulgazione sul social network Facebook  posta  in  essere,
peraltro con la manifestata intenzione (cfr. post pubblicato) di  dar
luogo ad ulteriori divulgazioni idonee ad una piu'  ampia  diffusione
del prodotto. 
    Ma anche il fatto  rubricato  al  capo  b)  e'  diverso  da  come
contestato. 
    Ed,  invero,  tenuto  conto  della  reiterazione  delle  condotte
minacciose, della loro direzione finalistica e dei loro effetti sulla
vittima (la minore ha  affermato  che,  per  effetto  delle  minacce,
impaurita,  ha  interrotto  la  relazione  sentimentale  con  un  suo
coetaneo, non e' piu' uscita con i suoi amici di sesso maschile e  ha
frequentato solo persone dello stesso sesso), la condotta integra gli
estremi del piu' grave reato di  atti  persecutori  di  cui  all'art.
612-bis del codice penale, peraltro procedibile  di  ufficio  perche'
connesso con il reato di pornografia minorile. 
    A  seguito  dell'intervenuta  modifica  dell'imputazione,  questo
giudice, con ordinanza del 10  luglio  2015  sollevava  questione  di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111
della Costituzione, dell'art. 34, comma 2°, del codice  di  procedura
penale, nella  parte  in  cui  non  prevede  l'incompatibilita'  alla
funzione di giudice dell'udienza preliminare del giudice che,  avendo
ravvisato, nel corso  della  stessa  udienza  preliminare,  un  fatto
diverso da quello contestato, abbia invitato il pubblico ministero  a
procedere, nei confronti dello stesso  imputato  e  per  il  medesimo
fatto storico, alla modifica dell'imputazione, invito cui il pubblico
ministero abbia aderito. 
    La Corte costituzionale, con sentenza n.  18/2017,  rigettava  la
questione. 
    La  Corte,  pur  riconoscendo  che  «sollecitando   il   pubblico
ministero a modificare l 'imputazione per diversita'  del  fatto,  il
giudice esterna un convincimento sul merito della regiudicanda» -  e,
quindi,  effettua  una  «penetrante  delibazione  del  merito   della
regiudicanda, non  dissimile  da  quella  che,  in  mancanza  di  una
valutazione della diversita' del fatto, conduce alla definizione  con
sentenza del giudizio di merito» -, rigettava la  questione  perche',
nella fattispecie  in  esame,  la  valutazione  contenutistica  sulla
medesima regiudicanda  non  si  colloca  in  una  fase  precedente  e
distinta  del  procedimento  (come   nel   caso   dell'ordinanza   di
trasmissione degli atti al pubblico ministero ex art. 521, comma  2°,
c.p.p. (2) ), ma nella medesima fase. 
    In   proposito   la   Corte   richiamava   la   sua   consolidata
giurisprudenza,  secondo  cui,  «affinche'  possa  configurarsi   una
situazione   di   incompatibilita'   -   nel   senso    dell'esigenza
costituzionale della relativa previsione, in funzione di  tutela  dei
valori  della  terzieta'  e  dell'imparzialita'  del  giudice  -,  e'
necessario  che  la  valutazione  «contenutistica»   sulla   medesima
regiudicanda si collochi  in  una  precedente  e  distinta  fase  dei
procedimento, rispetto a quella della quale il giudice e' attualmente
investito. E' del tutto ragionevole,  infatti,  che,  all'interno  di
ciascuna delle fasi - intese  come  sequenze  ordinate  di  atti  che
possono implicare apprezzamenti  incidentali,  anche  di  merito,  su
quanto in esse risulti, prodromici alla decisione conclusiva - resti,
in ogni caso, preservata l'esigenza di continuita' e  di  globalita',
venendosi altrimenti a determinare  una  assurda  frammentazione  del
procedimento, che implicherebbe la necessita'  di  disporre,  per  la
medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono  gli
atti da compiere (ex piurimis, sentenze n. 153 del 2012, n. 177 e  n.
131 del 1996; ordinanze n. 76 del 2007, n. 123 e n. 90 del  2004,  n.
370 del 2000, n. 232 del 1999). In questi casi, «il provvedimento non
costituisce anticipazione di un giudizio che deve essere  instaurato,
ma, al contrario, si inserisce nel giudizio del quale il  giudice  e'
gia' correttamente investito senza che  ne  possa  essere  spogliato:
anzi e' la competenza ad  adottare  il  provvedimento  dal  quale  si
vorrebbe far derivare l'incompatibilita' che presuppone la competenza
per il giudizio di  merito  e  si  giustifica  in  ragione  di  essa»
(sentenza n. 177 del 1996). 
    In tale prospettiva,  l'invito  a  modificare  l'imputazione  non
risulta affatto assimilabile all'ordinanza di trasmissione degli atti
al pubblico ministero. Come gia' ricordato, quest'ultima determina la
regressione del procedimento: la fase in corso davanti al giudice che
l'ha emessa si chiude, e la  fase  che  si  aprira'  all'esito  delle
iniziative dei  pubblico  ministero  -  il  quale  dovra'  esercitare
nuovamente l'azione penale, sempre che ne  ravvisi  i  presupposti  -
sara', in ogni modo, anche se omologa, una fase distinta e ulteriore,
rispetto alla quale la valutazione di merito  insita  nei  precedente
provvedimento   potra'   assumere   una   valenza    «pregiudicante».
All'opposto,  l'invito  a  modificare  l'imputazione  rappresenta  un
rimedio «endofasico»: dalla  sua  formulazione  non  deriva,  dunque,
alcuna incompatibilita' del giudice all'ulteriore  trattazione  della
medesima fase». 
3. La domanda di pronuncia pregiudiziale  della  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea. 
    Il difensore dell'imputato ha chiesto,  in  via  preliminare,  di
sollevare domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di  giustizia
dell'Unione  europea  ai  sensi  dell'art.  267  del   Trattato   sul
funzionamento dell'Unione europea (T.F.U.E.) sulla seguente questione
esegetica: se l'art. 47, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea, per come richiamata nell'art.  6,  par.  1,  del
Trattato sull'Unione europea (T.U.E.), debba essere interpretato  nel
senso di imporre al giudice nazionale di non applicare  la  normativa
nazionale (nella fattispecie l'art. 34, comma 2°, codice di procedura
penale, come risultante dall'interpretazione effettuata  dalla  Corte
costituzionale)  che  esclude  l'incompatibilita'  alla  funzione  di
giudice dell'udienza preliminare del giudice che,  avendo  ravvisato,
nel corso della stessa  udienza  preliminare,  un  fatto  diverso  da
quello contestato, abbia invitato il pubblico ministero a  procedere,
nei confronti della stesso imputato e per il medesimo fatto  storico,
alla modifica dell'imputazione,  invito  cui  il  pubblico  ministero
abbia aderito. 
    Com'e' noto, il principio del  primato  del  diritto  comunitario
impone al giudice nazionale l'obbligo di applicazione integrale delle
norme elaborate nell'Unione europea per dare al singolo la tutela che
quel diritto gli attribuisce, disapplicando di conseguenza  la  norma
interna  confliggente,  sia  anteriore  che   successiva   a   quella
comunitaria;  ove  sorgano  questioni  di  conflitto  con  una  norma
interna, il giudice nazionale deve disapplicare quest'ultima,  mentre
se vi sono dubbi sull'interpretazione della norma comunitaria che non
puo' risolvere interpretando tale norma, il  giudice  nazionale,  mai
disapplicando la  norma  comunitaria,  puo'  sollevare  la  questione
pregiudiziale sull'interpretazione della stessa davanti alla Corte di
giustizia  a  norma  dell'art.   267   Trattato   sul   funzionamento
dell'Unione  europea  (il  rinvio  pregiudiziale  interpretativo   e'
obbligatorio solo per i giudici nazionali di ultima istanza). 
    La richiesta della difesa va rigettata  perche'  l'oggetto  della
causa non presenta alcuna connessione con il diritto dell'Unione. 
    Con     riguardo     ai     rinvii     pregiudiziali     vertenti
sull'interpretazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea, va ricordato che, in  forza  dell'art.  51,  par.  l,  della
stessa, le disposizioni della Carta si applicano  agli  Stati  membri
esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione. 
    Occorre, pertanto, ai fini dell'ammissibilita' della  domanda  di
pronuncia  pregiudiziale,  che  una  norma  del  diritto  dell'Unione
diversa dalla Carta sia applicabile al procedimento principale. 
    In altre parole, il giudice  nazionale  non  puo'  chiedere  alla
Corte di giustizia di interpretare un  diritto  fondamentale  sancito
dalla Carta rispetto ad una vicenda controversa nella quale non e' in
discussione il diritto dell'Unione europea. 
    Questo perche' la Carta di Nizza non ha modificato i confini  del
diritto europeo, tenuto anche conto del contenuto dell'art.  5,  par.
2, T.U.E. («In virtu' del principio di attribuzione, l'Unione  agisce
esclusivamente nei limiti delle competenze  che  le  sono  attribuite
dagli Stati membri nei  trattati  per  realizzare  gli  obiettivi  da
questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione  nei
trattati appartiene  agli  Stati  membri»)  e,  ancor  di  piu',  del
contenuto dell'art. 6, par. 1, T.U.E. («L'Unione riconosce i diritti,
le liberta' e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007
a Strasburgo, che ha lo stesso  valore  giuridico  dei  trattati.  Le
disposizioni della Carta non estendono in alcun  modo  le  competenze
dell'Unione definite nei trattati») e par. 2 («L'Unione aderisce alla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali.  Tale  adesione  non  modifica  le  competenze
dell'Unione definite nei trattati»). 
    In  merito  la  Corte  di  giustizia,  valorizzando  la   portata
dell'art. 51 della Carta, ha, piu' volte, ribadito che (3) : 
        le disposizioni della Carta si applicano  agli  Stati  membri
esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione; 
        in virtu' del par. 2  dell'art.  51,  la  Carta  non  estende
l'ambito di applicazione del diritto  dell'Unione  al  di  la'  delle
competenze dell'Unione, ne'  introduce  competenze  nuove  o  compiti
nuovi per l'Unione, ne' modifica le competenze ed i compiti  definiti
nei trattati; 
        le esigenze derivanti dalla tutela dei  diritti  fondamentali
vincolano gli Stati membri in tutti i casi in cui essi sono  chiamati
ad applicare il diritto dell'Unione; 
        ove una situazione  giuridica  non  rientri  nella  sfera  di
applicazione del diritto dell'Unione, la Corte di  giustizia  non  e'
competente e le disposizioni della Carta eventualmente richiamate non
possono giustificare, di per se', tale competenza (cfr. ordinanza  12
luglio 2012, Turra' e altri, causa  C-466/11,  punto  26  e  sentenza
Akerberg Fransson, punto 22). 
    Pertanto,  nonostante  i  diritti  garantiti  dall'art.  6  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali costituiscano  principi  generali  del  diritto
dell'Unione  (cfr.  art.   6,   comma   3°,   T.U.E.)   (4)   ,   per
l'ammissibilita' del  rinvio  pregiudiziale,  occorre  che  l'oggetto
della causa  principale  presenti  una  connessione  con  il  diritto
dell'Unione; in assenza di alcun elemento di collegamento della causa
principale con  una  qualsivoglia  delle  situazioni  previste  dalle
disposizioni  del  Trattato  e  non  vertendo  la  causa   principale
sull'applicazione di misure nazionali  mediante  le  quali  lo  Stato
membro dia attuazione del diritto dell'Unione, non vi  e'  competenza
della Corte di Giustizia a risolvere la domanda  pregiudiziale  (cfr.
Corte giust. 1° marzo 2011, causa C-457/09, Chartry; Corte  giust.  7
febbraio 2013, causa C-498/12, Pedone c. N). 
    Nella fattispecie in esame, la  Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea e' manifestamente incompetente a  rispondere  alla  questione
posta dalla difesa perche' l'oggetto del procedimento principale  non
involge l'interpretazione o l'applicazione di una  norma  dell'Unione
diversa da quelle di cui alla Carta e non vi  e'  alcun  elemento  di
collegamento  della  controversia  con  una  normativa  nazionale  di
attuazione del diritto dell'Unione ai sensi  dell'art.  51,  par.  1,
della Carta stessa. 
    Pertanto la domanda di rinvio pregiudiziale va disattesa. 
4. La questione di legittimita' costituzionale. 
    Deve essere sollevata, di ufficio, la questione la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma  2°,  del  codice  di
procedura penale - nella parte in cui non prevede  l'incompatibilita'
alla funzione di trattazione dell'udienza preliminare per il  giudice
che, avendo ravvisato, nel corso della stessa udienza preliminare, un
fatto diverso  da  quello  contestato,  abbia  invitato  il  pubblico
ministero a procedere, nei confronti dello stesso imputato e  per  il
medesimo fatto storico, alla modifica dell'imputazione ed il pubblico
ministero abbia a tanto aderito - perche'  in  contrasto  con  l'art.
117, comma 1°, della Costituzione, in relazione all'art. 6,  par.  1,
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle  liberta'  fondamentali,  con  riguardo  all'imparzialita'  del
giudice, secondo l'interpretazione consolidata fornita della Corte di
Strasburgo. 
    Sul piano procedurale, non ricorre la preclusione del ne  bis  in
idem derivante dall'ultimo comma  dell'art.  137  della  Costituzione
perche' la questione di legittimita' costituzionale  che  si  solleva
con la  presente  ordinanza  e'  del  tutto  diversa,  per  parametro
invocato  (art.  117,  comma  1°,  della  Costituzione)   e   corredo
argomentativo (violazione dell'art.  6,  par.  1,  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, secondo  l'interpretazione  consolidata  fornita  della
Corte di Strasburgo), rispetto a quella dichiarata non fondata  dalla
Corte con la sentenza n. 18/2017. 
    Consolidata e', infatti, la giurisprudenza costituzionale secondo
cui, nel giudizio di legittimita' costituzionale in via  incidentale,
l'effetto preclusivo previsto, in forza del principio del ne  bis  in
idem, dall'art. 24, comma 2°, legge n. 87/1953,  alla  riproposizione
della questione nel  corso  dello  stesso  grado  di  giudizio,  deve
ritenersi operante soltanto allorche' risultino identici tutti e  tre
gli elementi che compongono  la  questione,  vale  a  dire  le  norme
impugnate,  i   profili   di   incostituzionalita'   dedotti   e   le
argomentazioni svolte a sostegno della ritenuta  incostituzionalita',
a  nulla  rilevando  l'analogia  delle  finalita'  perseguite   (cfr.
sentenza n. 225/1994 e 113/2011). 
    In caso di contrasto tra norma interna e norma convenzionale  non
risolvibile in via interpretativa, il giudice nazionale non  puo',  a
differenza di quanto avviene per le norme  comunitarie  provviste  di
effetto diretto, applicare direttamente la norma Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali,  disapplicando  la  norma  interna  contrastante,   ne'
tantomeno puo' fare applicazione  della  norma  interna  ritenuta  in
contrasto con la Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,  ma  deve  sollevare  la
questione di legittimita' costituzionale con riferimento al parametro
di cui  all'art.  117,  comma  1°,  della  Costituzione  (cfr.  Corte
costituzionale, sentenze nn. 348/2007, 349/2007, 239/2009, 80/2011). 
    Le norme  della  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  -  nel  significato
loro  attribuito  dalla  Corte   europea   dei   diritti   dell'uomo,
specificamente  istituita  per  dare  ad   esse   interpretazione   e
applicazione (art.  32,  par.  1,  della  Convenzione)  -  integrano,
infatti,  quali  «norme  interposte»,  il  parametro   costituzionale
espresso dall'art. 117, comma 1°, della Costituzione, nella parte  in
cui impone la conformazione della  legislazione  interna  ai  vincoli
derivanti dagli «obblighi internazionali». 
    A sua volta, la Corte costituzionale, investita dello  scrutinio,
pur non potendo sindacare l'interpretazione della Convenzione europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali data dalla Corte europea, resta legittimata a verificare
se, cosi' interpretata, la norma della  Convenzione  -  la  quale  si
colloca  pur  sempre  a  livello  sub-costituzionale   -   si   ponga
eventualmente  in  conflitto  con  altre  norme  della  Costituzione:
«ipotesi eccezionale nella quale dovra' essere esclusa  la  idoneita'
della norma  convenzionale  a  integrare  il  parametro  considerato»
(Corte costituzionale, sentenza n. 80/2011). 
    Per le ragioni compiutamente esposte dalla  Corte  costituzionale
nella sentenza n. 80/2011, alla  cui  lettura  si  rinvia  (cfr.,  in
particolare, par. 5.3, 5.4, 5.5), non e' possibile  ritenere  che  il
giudice comune, a seguito dell'entrata  in  vigore  del  Trattato  di
Lisbona, sia abilitato, nelle materie in cui non sia  applicabile  il
diritto dell'Unione (come quella in esame (5) ),  a  disapplicare  le
norme interne ritenute incompatibili con la Convenzione  europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
senza dover attivare il sindacato di costituzionalita' (in tal senso,
cfr. anche Cassazione sez. VI, 5 giugno 2014, n. 30059, Lamarmore  ed
altri, par. 7.2.1). 
    L'art. 34, comma 2°, del codice di procedura penale - nella parte
in cui non prevede l'incompatibilita' alla  funzione  di  trattazione
dell'udienza preliminare per il giudice che,  avendo  ravvisato,  nel
corso della stessa udienza preliminare, un fatto  diverso  da  quello
contestato, abbia invitato il pubblico  ministero  a  procedere,  nei
confronti dello stesso imputato e per il medesimo fatto storico, alla
modifica dell'imputazione ed il  pubblico  ministero  abbia  a  tanto
aderito - e' in contrasto con l'art. 6,  par.  1,  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, nella parte in cui
stabilisce che «ogni persona ha  diritto  a  che  la  sua  causa  sia
esaminata  ...  da  un  tribunale  ...   imparziale   ...»,   secondo
l'interpretazione consolidata fornita dalla Corte europea dei diritti
dell'uomo. 
    La Corte di Strasburgo, nelle numerose pronunce  rese  (6)  ,  ha
fornito  un  quadro  completo  della  nozione  di  imparzialita'  (da
intendersi come assenza di pregiudizi o preconcetti)  recepita  dalla
Convenzione, stabilendo che, affinche' il principio  sia  rispettato,
il   tribunale   deve   essere    imparziale    soggettivamente    ed
oggettivamente. 
    Sotto  il  primo  profilo  (cd.  criterio   soggettivo),   nessun
componente  del  tribunale  deve  avere  pregiudizi  personali  verso
l'imputato o un interesse personale a giudicare il singolo caso; tale
imparzialita' si presume fino a prova contraria. 
    Sotto  il  secondo  profilo  (cd.  criterio  oggettivo),  occorre
escludere ogni legittimo dubbio sull'imparzialita' del giudice, anche
apparente e non dipendente dalla sua condotta personale. 
    Ai fini del test oggettivo, si deve accertare se,  a  prescindere
dalla condotta personale del giudice, ci siano dei fatti che  possano
sollevare dubbi sulla sua imparzialita'. 
    Si e' poi osservato che non esiste  un'assoluta  separazione  tra
l'imparzialita' soggettiva e quella oggettiva, in quanto la  condotta
di  un  giudice  puo'  non  solo   suscitare   dubbi   oggettivamente
giustificati   sulla   sua   imparzialita'   dal   punto   di   vista
dell'osservatore  esterno  (criterio  oggettivo),   ma   puo'   anche
riguardare la questione della  sua  convinzione  personale  (criterio
soggettivo) (7) . 
    La Corte europea dei diritti dell'uomo ha sottolineato che  anche
le apparenze possono avere una certa importanza  in  quanto  «non  si
deve solo fare giustizia, ma si deve anche vedere che essa e'  fatta»
(sent. De Cubber c. Belgio,  26  ottobre  1984,  §  26;  sentenza  28
gennaio 2003, Dell'Utri  c/  Italia;  sentenza  n.  68955/11  del  15
gennaio 2015, Dragojevic c/ Croazia); questo perche' in una  societa'
democratica i giudici devono ispirare fiducia nel pubblico, a partire
dalle parti del processo (cfr. Kleyn  e  altri  c/  Paesi  Bassi,  n.
39343/98; Morice c/ France, n. 29369/10, §§ 73-78). 
    Per decidere se, in un determinato  caso,  vi  siano  dei  motivi
legittimi per temere che tali  requisiti  non  siano  rispettati,  il
punto di vista di una delle parti del processo e' importante, ma  non
decisivo;  cio'  che  e'  decisivo  e'  se  il  timore  della   parte
interessata possa essere ritenuto «obiettivamente giustificato» (cfr.
Sacilor-Lormines c/ France, n. 65411/01, § 63; Morice c/  France,  n.
29369/10, § 76). 
    Nella fattispecie in esame, l'antinomia tra la  norma  interna  e
quella convenzionale si coglie  con  riguardo  al  profilo  oggettivo
dell'imparzialita' ed il difetto e' di natura funzionale (8) . 
    La Corte europea dei diritti dell'uomo ha chiarito  che  il  solo
fatto che il giudice penale investito  del  processo  abbia  assunto,
nell'ambito del medesimo procedimento,  decisioni  sul  caso  il  cui
merito e' poi chiamato a giudicare, comprese decisioni riguardanti la
custodia cautelare, non puo' di per se' solo comportare un difetto di
imparzialita'; tuttavia la natura e la portata di tali decisioni  non
sono irrilevanti (cfr. sentenza 24 febbraio 1993, Fey v.  Austria,  §
30; Sainte-Marie v. France, § 32; Nortier v. the Netherlands,  §  33)
perche', nelle ipotesi in cui le stesse richiedano un «elevato  grado
di chiarezza» in ordine al tema della  responsabilita'  dell'imputato
(sent. 24 maggio 1989, Hauschildt v. Denmark, § 49-52), ovvero vi sia
coincidenza   tra   il   profilo   contenutistico   della   decisione
preprocessuale e il merito della causa  (sent.  n.  68955/11  del  15
novembre 2015, Dragojevic c/ Croazia (9)  ),  deve  ritenersi  minata
l'imparzialita'. 
    Con riguardo alle altre fasi del procedimento, la  Corte  europea
dei diritti dell'uomo ha ritenuto che non si pone  una  questione  di
difetto di imparzialita' solo quando il giudice abbia pronunciato  in
dette fasi decisioni di tipo meramente formale e procedurale, ma  non
anche  quando  abbia  espresso  un'opinione   sulla   responsabilita'
dell'imputato (Gomez de Liano y Botella v. Spain, §§ 67-72;  sentenza
24 giugno 2010, Marcel e Branquart c. Francia). 
    In virtu'  dell'importanza  assunta  anche  dalle  apparenze,  e'
sufficiente, affinche' sia leso il principio di imparzialita', che il
giudice abbia valutato - non importa se nella stessa fase o in  altra
fase - i fatti della causa, esprimendo un'opinione su di  un  aspetto
del merito della controversia (cfr. sentenza Grande Camera n. 4455/10
del 27 aprile 2014,  Margus  c/  Croazia,§  47,  che  ha  escluso  la
violazione perche',  nel  pregresso  procedimento,  «non  sono  stati
valutati i fatti della causa, ne' e'  stata  esaminata  la  questione
della colpevolezza del ricorrente. Il giudice M.K.  non  ha  pertanto
espresso un'opinione su alcun aspetto del merito della causa»). 
    Si deve,  dunque,  ravvisare  una  violazione  del  principio  di
imparzialita'  ogni  qual  volta  le  attivita'   poste   in   essere
anteriormente dal giudice siano tali da far  ritenere  oggettivamente
riscontrata una  sostanziale  anticipazione  del  giudizio,  sia  per
l'estensione dei poteri affidati, sia per  l'approfondita  conoscenza
degli elementi di prova su cui poi sara' chiamato a  rendere  la  sua
decisione nel merito (10) . 
    L'interpretazione  fornita  dalla  Corte  EDU   -   assolutamente
consolidata - del principio di  imparzialita'  valorizza  il  profilo
contenutistico della decisione assunta e non il momento in  cui  essa
viene resa nella sequenza procedimentale. 
    Nella fattispecie in esame, non vi e' dubbio,  come  riconosciuto
dalla Corte costituzionale, che il giudice, «sollecitando il pubblico
ministero a modificare l'imputazione per diversita'  del  fatto,  ...
esterna un convincimento sul merito della regiudicanda». 
    Inoltre, siffatta esternazione e' strettamente  connaturata  alla
natura  del  sindacato  esercitato  nello  specifico  contesto:  come
riconosciuto dalla Corte costituzionale, «nel momento in cui  accerta
che il fatto  e'  diverso  da  come  descritto  nell'imputazione,  il
giudice  compie...  una  penetrante  delibazione  del  merito   della
regiudicanda, non  dissimile  da  quella  che,  in  mancanza  di  una
valutazione della diversita' del fatto, conduce alla definizione  con
sentenza del giudizio di merito». 
    Cio' e' sufficiente ad  inficiare  l'imparzialita'  del  giudice,
come interpretata dalla Corte di Strasburgo, a prescindere dal  fatto
che la valutazione contenutistica sulla «medesima  regiudicanda»  sia
stata effettuata nella stessa fase processuale  e  non  in  una  fase
precedente e distinta. 
    Il criterio della  identita'/diversita'  di  fase  fornito  dalla
Corte costituzionale nell'esegesi dell'art. 34, comma 2°, del  codice
di procedura penale, relativo alla disciplina delle  incompatibilita'
endoprocessuali di tipo orizzontale, non appare in linea  con  l'art.
6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,  come  interpretato  dalla
Corte di Strasburgo, perche' non tiene conto  della  natura  e  della
portata della decisione incidentale adottata dal giudice, nonche' del
tipo di sindacato a questi assegnato nello specifico contesto. 
    La preesistenza di una valutazione sulla  medesima  regiudicanda,
quando anche compiuta nella stessa fase, rende attuale e concreto  il
rischio che la valutazione conclusiva di responsabilita' sia, o possa
apparire, condizionata dalla propensione del giudice a confermare una
propria precedente decisione: in  tal  caso,  la  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo  presume,iuris  et  de  iure,  la  sussistenza  del
pregiudizio. 
    Ma la violazione  della  garanzia  dell'imparzialita'  si  coglie
anche sotto un altro profilo, sempre di natura funzionale. 
    Il  giudice,  invitando  il  pubblico  ministero   a   modificare
l'imputazione per la ritenuta diversita' del  fatto  contestato,  non
solo effettua (esternandola all'imputato) una penetrante  delibazione
del merito della regiudicanda, non dissimile da quella che dovra' poi
effettuare nella  decisione  del  merito  della  causa,  ma  concorre
all'esercizio della funzione tipica dell'accusa nel processo  penale,
vale a dire alla contestazione del fatto e, cioe',  alla  definizione
dello stesso perimetro del giudizio. 
    L'assunzione, da  parte  del  giudice,  del  ruolo  del  pubblico
ministero  e'  stata  censurata  dalla  Corte  europea  dei   diritti
dell'uomo nella sentenza del 20  settembre  2016,  causa  n.  926/08,
Karelin c/ Russia, perche' cio' puo' causare una  confusione  tra  il
ruolo  dell'accusa  e  quello  del   giudicante   e   puo'   condurre
legittimamente a dubitare dell'imparzialita' di quest'ultimo. 
    Nel caso deciso dalla Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  la
confusione derivava  dall'assenza  di  una  qualsiasi  autorita'  che
rappresentasse l'accusa in giudizio; tuttavia,  dalla  lettura  della
sentenza,  emerge  come  la  Corte  europea  dei  diritti   dell'uomo
stigmatizzi,   perche'   foriera   di    dubbi    sull'imparzialita',
l'assunzione da parte del giudice del ruolo del pubblico ministero. 
    Evidente appare, quindi, il contrasto tra l'art.  34,  comma  2°,
c.p.p. - nella parte  in  cui  non  prevede  l'incompatibilita'  alla
funzione di trattazione dell'udienza preliminare per il giudice  che,
avendo ravvisato, nel corso  della  stessa  udienza  preliminare,  un
fatto diverso  da  quello  contestato,  abbia  invitato  il  pubblico
ministero a procedere, nei confronti dello stesso imputato e  per  il
medesimo fatto storico, alla modifica dell'imputazione ed il pubblico
ministero abbia  a  tanto  aderito  -  e  l'art.  6,  par.  1,  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali,  nella  parte  in  cui  stabilisce  che  «ogni
persona ha diritto  a  che  la  sua  causa  sia  esaminata...  da  un
tribunale... imparziale...»,  secondo  l'interpretazione  consolidata
fornita dalla Corte europea  dei  diritti  dell'uomo,  che  prescinde
dalle scansioni processuali. 
    L'antinomia non puo' essere risolta in via interpretativa perche'
il giudice delle leggi, con la sentenza n.  18/2017,  vincolante  nel
presente giudizio, ha affermato la compatibilita' con gli articoli 3,
24 e 111 della Costituzione della norma ritenuta in contrasto con  la
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, con la conseguenza  che,  in  assenza  di  una
diversa  pronuncia,  il  giudizio  deve   proseguire   innanzi   allo
scrivente. 
    Alla situazione considerata non puo', come evincibile anche dalla
sentenza   n.   18/2017,    farsi    fronte    mediante    l'istituto
dell'astensione, il quale - al pari di  quello  della  ricusazione  -
mira a porre rimedio a  comportamenti  del  giudice,  anche  estranei
all'esercizio della funzione, che possono determinare un  pregiudizio
per l'imparzialita' da apprezzare in concreto:  mentre  nel  caso  in
discussione  la  configurabilita'  di  un   simile   pregiudizio   e'
riscontrabile gia' sul piano astratto, in conseguenza della decisione
precedentemente adottata e della sua intrinseca natura. 
    Non   vi   e'   alcuna   incompatibilita'   tra    la    garanzia
dell'imparzialita' del giudice di cui all'art. 6, par. 1, Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, come interpretato  dalla  Corte  di  Strasburgo,  e  la
Costituzione sotto il profilo del buon andamento dell'amministrazione
della  giustizia  (art.  97  della  Costituzione)  -  vale   a   dire
dell'esigenza   di   evitare   «una   assurda   frammentazione    del
procedimento, che implicherebbe la  necessita'  di  disporre  per  la
medesima fase del giudizio di tanti giudici diversi quanti  sono  gli
atti da compiere» - perche',  nella  prospettiva  convenzionale,  non
tutti gli apprezzamenti incidentali, anche di merito, sono  idonei  a
determinare la lesione della garanzia dell'imparzialita' del giudice,
ma solo quelli che presentano un  profilo  contenutistico  analogo  a
quello richiesto per la definizione del merito della causa:  occorre,
quindi, valutare la natura  e  la  portata  delle  singole  decisioni
incidentali, in relazione  al  tipo  di  sindacato  esercitato  nello
specifico contesto, e la lesione  della  garanzia  dell'imparzialita'
potra' ritenersi sussistente solo quando  il  profilo  contenutistico
della valutazione effettuata nella fase incidentale non sia dissimile
da quello che dovra' essere  compiuto  nell'esame  del  merito  della
causa. 
    Infine «il risultato complessivo dell'integrazione delle garanzie
dell'ordinamento»   e'   «di   segno   positivo»,   nel   senso   che
dall'incidenza della norma Convenzione europea  per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali sull'art. 34  del
codice di procedura penale deriva un plus e non un  minus  di  tutela
per tutto il sistema nazionale dei diritti fondamentali  (cfr.  Corte
costituzionale, sentenza n. 317/2009). 
    Tutti i giudici italiani - compresa la Corte costituzionale, come
riconosciuto dalla stessa Corte -  devono  applicare  la  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, che e' stata incorporata nell'ordinamento  interno  per
effetto della legge (ordinaria) n. 848/1955  di  autorizzazione  alla
ratifica ed ha un  ruolo  sovraordinato  rispetto  alla  legislazione
ordinaria, salvo il caso, del  tutto  eccezionale  e  certamente  non
sussistente nella fattispecie in esame, in cui la  norma  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, come interpretata dalla sua Corte, sia essa  stessa  in
contrasto con la Costituzione: ipotesi nella  quale  si  imporra'  la
dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  della   legge   di
adattamento alla Convenzione, nella parte in cui consente  l'ingresso
nell'ordinamento di una norma incostituzionale (11) . 
    La sopra esposta questione di legittimita' costituzionale e',  ai
sensi  dell'art.  23,  comma  2°,  legge  n.  87/1953,  assolutamente
rilevante nel procedimento pendente  perche'  esso  non  puo'  essere
definito  indipendentemente  dalla  sua  risoluzione,  dovendo,  allo
stato,  questo  giudice  procedere  alla  celebrazione   dell'udienza
preliminare  nonostante  abbia  gia'   effettuato   una   «penetrante
delibazione del merito della regiudicanda», non dissimile  da  quella
richiesta per la definizione del merito: la prosecuzione del giudizio
comporterebbe una violazione dell'art. 6, par. 1,  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, secondo  l'interpretazione  consolidata  fornita  dalla
Corte di Strasburgo. 
    Cio'  obbliga  questo  giudice  a  sollevare  la   questione   di
costituzionalita'. 

(1) L'art. 600-ter, comma 1°, del codice penale, nella lettura datane
    dalla Suprema Corte, si pone come disposizione volta a  reprimere
    le piu' gravi condotte di aggressione ad  una  serena  evoluzione
    dell'identita'  sessuale  del  minore  realizzate  attraverso  un
    contesto di organizzazione almeno embrionale  e  di  destinazione
    anche  potenziale  del  materiale  pornografico  alla  successiva
    fruizione di un numero imprecisato di terzi (cfr. Cassazione sez.
    III, 11 marzo 2010, rv. 246982). 

(2) Con  l'ordinanza  n.  269/2003,   la   Corte   -   pronunciandosi
    espressamente per  l'ipotesi  di  ripetizione  della  trattazione
    dell'udienza preliminare da parte dello  stesso  magistrato  che,
    all'esito di una precedente udienza  preliminare  riguardante  lo
    stesso imputato ed il medesimo fatto storico, abbia  disposto  la
    restituzione degli atti al pubblico ministero,  avendo  ravvisato
    un fatto diverso da quello formalmente descritto nell'imputazione
    contestata - ha ritenuto la  questione  manifestamente  infondata
    perche' gia' rientrante, a seguito della  sentenza  n.  224/2001,
    nel raggio d'azione dell'istituto dell'incompatibilita'. 

(3) Cfr. Corte giust. 5 ottobre 2010,  causa  C-400/10  PPU,  J  McB;
    Corte giust. 12 novembre 2011, causa C-339/10, Asparuhov Estov ed
    altri; Corte giust. 1° marzo 2011, causa C-457/09, Chartry; Corte
    giust. 15 novembre 2011, causa C-256/11, Deraci e altri. In senso
    conforme, cfr. Corte costituzionale, sentenze nn. 80  e  303  del
    2011 e Cassazione SS.  UU.  Civili,  13  giugno  2012,  n.  9595,
    secondo  cui  «la  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
    europea,  alla  luce  della  clausola  di   equivalenza   sancita
    dall'art. 52, par. 3, non ha determinato  una  «trattatizzazione»
    indiretta e piena della Convenzione europea per  la  salvaguardia
    dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, la quale  e'
    predicabile solo per le ipotesi nelle quali  la  fattispecie  sia
    disciplinata dal diritto europeo e non gia'  da  norme  nazionali
    prive di alcun legame con il diritto dell'Unione europea». 

(4) Il comma 2° dell'art. 47 della  Carta  dei  diritti  fondamentali
    dell'Unione  europea,   come   si   evince   dalle   Spiegazioni,
    corrisponde all'art. 6, par. 1, della Convenzione europea per  la
    salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 

(5) Cfr. precedente paragrafo. 

(6) Cfr., a titolo meramente esemplificativo,  sentenze  Padovani  c.
    Italia (26 febbraio 1993); Thomann c. Svizzera (10 giugno  1996);
    Ferrantelli e Santangelo c.  Italia  (7  agosto  1996);  Castillo
    Algar c. Spagna (28 ottobre 1998); Perote Pellon  c.  Spagna  (25
    luglio 2002); Gomez de Llano  y  Botella  c.  Spagna  (22  luglio
    2008); Wettstein c. Svizzera (n. 33958/98); Morel c. Francia  (n.
    34130/96); Cianetti c. Italia (n. 55634/00); Kyprianou v. Cyprus;
    Micallef v. Malta; Piersackv.  Belgium;  Grieves  v.  the  United
    Kingdom. 

(7) Cfr. sentenza n. 73797/01, Kyprianou v. Cyprus, § 119. 

(8) Nella sentenza Kyprianou v. Cyprus, la Corte europea dei  diritti
    dell'uomo ha precisato che ci sono due  possibili  situazioni  in
    cui puo' venire  in  rilievo  il  difetto  di  imparzialita'  del
    giudice: la prima e' di natura funzionale e riguarda, ad esempio,
    l'esercizio di differenti funzioni da parte della stessa  persona
    nel  medesimo  giudizio,  oppure  la  presenza  di   collegamenti
    gerarchici o di altro tipo con un soggetto comunque coinvolto nel
    procedimento; la seconda e' di carattere personale e deriva dalla
    condotta tenuta dal giudice in un caso specifico. 

(9) La Corte europea dei diritti dell'uomo ha escluso  la  violazione
    dell'imparzialita' in un caso in cui la decisione  preprocessuale
    aveva ad oggetto la proroga della custodia sulla base del rilievo
    che «le domande cui il  giudice  deve  rispondere  quando  adotta
    decisioni relative alla proroga della custodia non sono identiche
    a quelle determinanti per il suo giudizio finale.  Quando  adotta
    una  decisione  sulla  custodia  cautelare  e   altre   decisioni
    preprocessuali di questo tipo, il giudice valuta sommariamente  i
    dati  disponibili  al  fine  di  accertare  se  esistano   motivi
    sufficienti per  sospettare  che  l'imputato  abbia  commesso  un
    reato; quando emette una sentenza alla conclusione  del  processo
    egli deve valutare se  le  prove  che  sono  state  presentate  e
    discusse  in  tribunale  siano  sufficienti   a   dichiarare   la
    colpevolezza dell'imputato. I sospetti  e  la  formale  pronuncia
    giudiziale della colpevolezza non devono  essere  considerati  la
    stessa cosa (si veda Jasiński c. Polonia, n. 30865196, §  55,  20
    dicembre 2005)» (§ 115); nel caso di specie, la Corte europea dei
    diritti dell'uomo (par. 116) ha ritenuto che, «nella  valutazione
    i giudici hanno tuttavia fatto riferimento al reato solo  come  a
    «l'oggetto delle accuse», formula  che  non  comunicava  la  loro
    convinzione  che  il  ricorrente  avesse  commesso  i  reati   in
    questione e che non puo' essere  considerata  equivalente  a  una
    pronuncia  pregiudiziale   sulla   colpevolezza   (si   confronti
    Jasiński, sopra citata, § 56, e,  per  contro,  Romenskiy,  sopra
    citata, § 28)». 

(10) Cfr. sentenza De Cubber comma Belgio, 26 ottobre 1984, §  29-30;
     11 luglio 2013, Rudnichenko c/ Ucraina, §·115; 25  luglio  2000,
     Tierce ed altri c/ San Marino; 

(11) Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 49/2015.