TRIBUNALE ORDINARIO DI NAPOLI Sezione del Giudice per le indagini preliminari - Ufficio 26° Il Giudice per l'udienza preliminare, dott. Dario Gallo, letti gli atti del procedimento penale in epigrafe indicato, nei confronti di F.C., nato a N. il..., ivi residente alla via... n. ... (domicilio dichiarato dall'imputato ex art. 161 codice di procedura penale in data 7 luglio 2014), difeso di fiducia dall'avvocato Marco Zeno del foro di Napoli, con studio in Napoli, corso Quattro Novembre n. 49 (tel./fax: 081/5729933; cell: 3394096053; e-mail: marcozeno@libero.it); imputato: a) del delitto p. e p. dall'art. 600-ter comma primo del codice penale, per aver indotto F.D.M., persona minore degli anni 18, a partecipare ad esibizioni pornografiche e inoltre per aver, utilizzando la predetta minore, prodotto materiale pornografico consistente in circa 60 fotografie scattate dalla D.M. ed inviate al F. tramite il social network denominato Facebook ritraenti la minore nuda e, in particolare, ritraenti il sedere e la vagina della stessa e numerose altre pose di natura inequivocabilmente pornografiche. In Olbia e Napoli dall'estate 2012 di dicembre 2013; b) del delitto p. e p. dall'art. 612-bis, comma 1°, 2°, 3°, del codice penale, perche' con condotte reiterate di minaccia e molestia nei confronti di F.D.M. ed, in particolare, inviandole numerosi messaggi tramite Whatsapp e Viber con la quale la minacciava di inviare a C.D.M. e B.E. compagna di A.G., le sue conversazioni intrattenute con quest'ultimo su Facebook, nonche' minacciando la pubblicazione di fotografie che ritraevano la D.M. nuda di circa 60 foto, sul social Facebook se non avesse ripreso la relazione sentimentale con lui, cagionava alla predetta persona offesa F.d.M. un perdurante stato di ansia oltre che di paura. In Olbia nel dicembre 2013. Competenza radicata ex art. 16 c.p.p. Identificata la persona offesa - costituitasi parte civile - in: D.M.F. nata a Olbia (SS) il 30 marzo 1997, rappresentata e difesa dall'avv. Giommaria Uggias del foro di Tempio Pausania (SS), con studio in Olbia (SS), via Carducci n. 5 (tel.: 0789641052; fax: 0789641261; e-mail: studiolegale@uggias.it) presso cui domicilia; Letta la memoria depositata in data 24 febbraio 2017, con cui il difensore dell'imputato ha chiesto, in via preliminare, di sollevare domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (T.F.U.E.) sulla seguente questione interpretativa: se l'art. 47, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, per come richiamata nell'art. 6, par. 1, del Trattato sull'Unione europea (T.U.E.), debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice nazionale di non applicare la normativa nazionale che esclude l'incompatibilita' alla funzione di giudice dell'udienza preliminare del giudice che, avendo ravvisato, nel corso della stessa udienza preliminare, un fatto diverso da quello contestato, abbia invitato il pubblico ministero a procedere, nei confronti della stesso imputato e per il medesimo fatto storico, alla modifica dell'imputazione, invito cui il pubblico ministero abbia aderito; Udite le conclusione rassegnate dalle parti all'udienza del 6 marzo 2017 ed a scioglimento della riserva assunta in detta udienza; Sommario. 1. L'oggetto del procedimento ed i fatti pertinenti. 2. L'invito al pubblico ministero a modificare l'imputazione e la sentenza della Corte costituzionale n. 18/2017. 3. La domanda di pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia dell'Unione europea. 4. La questione di legittimita' costituzionale. Osserva. La richiesta di presentazione di domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea deve essere disattesa perche' l'oggetto della causa non presenta alcuna connessione con il diritto dell'Unione. Deve, invece, essere sollevata, di ufficio, la questione la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2°, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' alla funzione di trattazione dell'udienza preliminare per il giudice che, avendo ravvisato, nel corso della stessa udienza preliminare, un fatto diverso da quello contestato, abbia invitato il pubblico ministero a procedere, nei confronti dello stesso imputato e per il medesimo fatto storico, alla modifica dell'imputazione ed il pubblico ministero abbia a tanto aderito - perche' in contrasto con l'art. 117, comma 1°, della Costituzione in relazione all'art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (C.E.D.U.), con riguardo all'imparzialita' del giudice, come risultante dalla consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. 1. L'oggetto del procedimento ed i fatti pertinenti. Il procedimento ha ad oggetto la delibazione della richiesta di rinvio a giudizio presentata, in data 25 novembre 2014, dal pubblico ministero nei confronti di F.C., originariamente per i reati di divulgazione di materiale pornografico minorile (art. 600-ter, comma 3°, c.p.) e tentata violenza privata (articoli 56-610 c.p.), successivamente modificata su invito formulato da questo giudice all'udienza preliminare del 3 giugno 2015 - nei reati di produzione di materiale pornografico minorile (art. 600-ter, comma 1°, c.p.) ed atti persecutori (art. 612-bis, commi 1°, 2° e 3° c.p.). F.C., di anni 48, e' stato denunciato da D.M.C. e B.R. di aver avuto, nell'estate del 2012, quando fu ospitato nella loro casa in Sardegna, una relazione sentimentale con la loro figlia D.M.F., di anni 15, caratterizzata da «effusioni sessuali», anche se non sfociate in «rapporti sessuali completi»; inoltre, secondo la denuncia, a partire della menzionata estate e fino al dicembre del 2013, il F., tramite social-network, ha indotto la minore ad effettuare su se stessa e ad inviargli foto di natura pornografica, poi da lui utilizzate per costringere la ragazza, sotto la minaccia della diffusione del materiale, a riprendere la relazione sentimentale. All'esito delle indagini preliminari - caratterizzate dall'escussione della minore, dall'assunzione di sommarie informazioni testimoniati, dall'acquisizione di messaggi e foto - il pubblico ministero chiedeva il rinvio a giudizio di F.C. per i seguenti reati: a) del delitto p. e p. dall'art. 600-ter comma III del codice penale, perche' attraverso il social network Facebook e mediante l'utilizzo del profilo A.I. dopo aver pubblicato il post: «buongiorno a tutti oggi inizia la caccia al tesoro ovvero come sputtanare una ragazza su face book mettero' dei pezzi di una foto e dovrete indovinare che parte e' e il nome della persona che le appartiene. E' una foto molto piccante al vincitore andra' un intero book di foto piccanti di questa persona ne sono piu' di 60 e ne fara' quello che vuole, si accettano richieste di amicizia piu' ne siamo meglio e', fate girare questo stato tra poco la prima immagine e buon divertimento», divulgava fotografie di natura pornografica ritraenti il sedere e la vagina della minore D.M.F. nata il ... In Napoli nel dicembre 2013; b) del delitto p.e p. dagli articoli 56 del codice penale, 610 del codice penale, perche' con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, inviando a D.M.F. numerosi messaggi attraverso l'utilizzo delle chat wattsapp e viber con i quali la minacciava di inviare a D.M.C., padre della minore, e a B.E., compagna di A.G., le sue conversazioni sul social network facebook con A.G. se non avesse interrotto la presunta relazione sentimentale con lo stesso, nonche' minacciando la pubblicazione di fotografie che ritraevano la minore nuda sul social network Facebook - pubblicazione poi avvenuta e di cui al capo A - se non avesse ripreso la relazione sentimentale con lui, compiva atti idonei in modo non equivoco a costringere D.M.F. ad interrompere i contatti con A.G. e a riprendere la relazione sentimentale con lui. In Olbia nel dicembre 2013. Competenza radicata ex art. 16 codice di procedura penale. 2. L'invito al pubblico ministero a modificare l'imputazione e la sentenza della Corte costituzionale n. 18/2017. All'udienza preliminare del 3 giugno 2015, questo giudice, ritenendo che i fatti accertati fosse diversi da come contestati, invitava il pubblico ministero a modificare l'imputazione e il rappresentante dell'accusa, in adesione all'invito, contestava i reati di produzione di materiale pornografico minorile e di atti persecutori, come in epigrafe indicato. Tanto avveniva in applicazione della consolidata interpretazione giurisprudenziale espressa dalle Sezioni unite della Suprema Corte di cassazione, secondo cui il giudice, allorquando nell'udienza preliminare accerta che il fatto e' diverso da come descritto nella richiesta di rinvio a giudizio, deve in prima battuta invitare il pubblico ministero a modificare l'imputazione e, solo ove il rappresentante della pubblica accusa non si adegui all'invito, puo', in applicazione analogica dell'art. 521, comma 2°, codice di procedura penale, disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero, determinando la regressione del procedimento ad una fase anteriore (la trasmissione non preceduta dall'invito e' stata qualificata come «atto abnorme»: Corte di cassazione, Sezioni Unite, sentenza 20 dicembre 2007 - 1° febbraio 2008, n. 5307, Battistella). Questo il testo dell'ordinanza con cui si invitava il pubblico ministero a modificare l'imputazione: il fatto rubricato al capo a) dell'imputazione e' diverso da come contestato; in punto di fatto e' emerso che e' stato l'imputato ad indurre la minore, con cui aveva una relazione sentimentale, a realizzare le fotografie di natura pornografica. Ci troviamo di fronte ad una ipotesi di autoproduzione consensuale di materiale pedopornografico (cd. sexting), materiale che e' stato successivamente, sia pure solo in parte, pubblicato dall'imputato sul social network «Facebook», attraverso il profilo A.I. Il fatto accertato integra gli estremi del reato previsto e punito dal comma 1 dell'art. 600-ter del codice penale e non dal comma 3 dello stesso articolo. Il materiale autoprodotto ha certamente contenuto pedopomografico, ai sensi del 7° ed ultimo comma dell'art. 600-ter del codice penale, come introdotto dalla legge n. 172/2012 di esecuzione della Convenzione di Lanzarote del 2007 (cfr. art. 20, comma 2°, della Convenzione), secondo cui per «pornografia minorile» deve intendersi «ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attivita' sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore degli anni diciotto per scopi sessuali». Inoltre, per effetto della ratifica ed esecuzione della Convenzione di Lanzarote, tenuto anche conto della direttiva 2011/93/UE, il reato di produzione di materiale pedopornografico non richiede ne' lo sfruttamento, ne' l'approfittamento, ne' la mercificazione, ne' la manipolazione del minore e lo Stato italiano non ha scelto, in sede di ratifica, di escludere la punibilita' nelle ipotesi caratterizzate da consensualita' dell'autoproduzione e della relativa detenzione da parte degli stessi minori (facolta' concessa dalla seconda parte del punto 3 dell'art. 20 della Convenzione). Il consenso del minore ultraquattordicenne non ha efficacia scriminante atteso che lo Stato italiano, in sede di ratifica della Convenzione, pur potendolo fare, non ha inteso introdurre una clausola del tipo di quella prevista dall'art. 609-quater del codice penale. Nella condotta denunciata sussistono gli estremi del reato di cui al comma 1° dell'art. 600-ter del codice penale. La norma de qua, infatti, «presiede alla tutela di quelle situazioni nelle quali siano individuabili indici di concreto pericolo che l'attivita' posta in essere sia idonea a soddisfare l'esigenza di un vasto mercato di pedofili» (cfr. Cassazione Sezioni unite n. 13/2000 e Cassazione sez. III, n. 11997/2011) (1) . Nella fattispecie in esame, «il concreto pericolo di una vasta ed indiscriminata diffusione» del materiale pornografico realizzato dall'imputato e' agevolmente desumibile dal numero di fotografie realizzate, dagli strumenti tecnici utilizzati, dagli apparati informatici posseduti, nonche', e soprattutto, dalla condotta di parziale divulgazione sul social network Facebook posta in essere, peraltro con la manifestata intenzione (cfr. post pubblicato) di dar luogo ad ulteriori divulgazioni idonee ad una piu' ampia diffusione del prodotto. Ma anche il fatto rubricato al capo b) e' diverso da come contestato. Ed, invero, tenuto conto della reiterazione delle condotte minacciose, della loro direzione finalistica e dei loro effetti sulla vittima (la minore ha affermato che, per effetto delle minacce, impaurita, ha interrotto la relazione sentimentale con un suo coetaneo, non e' piu' uscita con i suoi amici di sesso maschile e ha frequentato solo persone dello stesso sesso), la condotta integra gli estremi del piu' grave reato di atti persecutori di cui all'art. 612-bis del codice penale, peraltro procedibile di ufficio perche' connesso con il reato di pornografia minorile. A seguito dell'intervenuta modifica dell'imputazione, questo giudice, con ordinanza del 10 luglio 2015 sollevava questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, dell'art. 34, comma 2°, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' alla funzione di giudice dell'udienza preliminare del giudice che, avendo ravvisato, nel corso della stessa udienza preliminare, un fatto diverso da quello contestato, abbia invitato il pubblico ministero a procedere, nei confronti dello stesso imputato e per il medesimo fatto storico, alla modifica dell'imputazione, invito cui il pubblico ministero abbia aderito. La Corte costituzionale, con sentenza n. 18/2017, rigettava la questione. La Corte, pur riconoscendo che «sollecitando il pubblico ministero a modificare l 'imputazione per diversita' del fatto, il giudice esterna un convincimento sul merito della regiudicanda» - e, quindi, effettua una «penetrante delibazione del merito della regiudicanda, non dissimile da quella che, in mancanza di una valutazione della diversita' del fatto, conduce alla definizione con sentenza del giudizio di merito» -, rigettava la questione perche', nella fattispecie in esame, la valutazione contenutistica sulla medesima regiudicanda non si colloca in una fase precedente e distinta del procedimento (come nel caso dell'ordinanza di trasmissione degli atti al pubblico ministero ex art. 521, comma 2°, c.p.p. (2) ), ma nella medesima fase. In proposito la Corte richiamava la sua consolidata giurisprudenza, secondo cui, «affinche' possa configurarsi una situazione di incompatibilita' - nel senso dell'esigenza costituzionale della relativa previsione, in funzione di tutela dei valori della terzieta' e dell'imparzialita' del giudice -, e' necessario che la valutazione «contenutistica» sulla medesima regiudicanda si collochi in una precedente e distinta fase dei procedimento, rispetto a quella della quale il giudice e' attualmente investito. E' del tutto ragionevole, infatti, che, all'interno di ciascuna delle fasi - intese come sequenze ordinate di atti che possono implicare apprezzamenti incidentali, anche di merito, su quanto in esse risulti, prodromici alla decisione conclusiva - resti, in ogni caso, preservata l'esigenza di continuita' e di globalita', venendosi altrimenti a determinare una assurda frammentazione del procedimento, che implicherebbe la necessita' di disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere (ex piurimis, sentenze n. 153 del 2012, n. 177 e n. 131 del 1996; ordinanze n. 76 del 2007, n. 123 e n. 90 del 2004, n. 370 del 2000, n. 232 del 1999). In questi casi, «il provvedimento non costituisce anticipazione di un giudizio che deve essere instaurato, ma, al contrario, si inserisce nel giudizio del quale il giudice e' gia' correttamente investito senza che ne possa essere spogliato: anzi e' la competenza ad adottare il provvedimento dal quale si vorrebbe far derivare l'incompatibilita' che presuppone la competenza per il giudizio di merito e si giustifica in ragione di essa» (sentenza n. 177 del 1996). In tale prospettiva, l'invito a modificare l'imputazione non risulta affatto assimilabile all'ordinanza di trasmissione degli atti al pubblico ministero. Come gia' ricordato, quest'ultima determina la regressione del procedimento: la fase in corso davanti al giudice che l'ha emessa si chiude, e la fase che si aprira' all'esito delle iniziative dei pubblico ministero - il quale dovra' esercitare nuovamente l'azione penale, sempre che ne ravvisi i presupposti - sara', in ogni modo, anche se omologa, una fase distinta e ulteriore, rispetto alla quale la valutazione di merito insita nei precedente provvedimento potra' assumere una valenza «pregiudicante». All'opposto, l'invito a modificare l'imputazione rappresenta un rimedio «endofasico»: dalla sua formulazione non deriva, dunque, alcuna incompatibilita' del giudice all'ulteriore trattazione della medesima fase». 3. La domanda di pronuncia pregiudiziale della Corte di giustizia dell'Unione europea. Il difensore dell'imputato ha chiesto, in via preliminare, di sollevare domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (T.F.U.E.) sulla seguente questione esegetica: se l'art. 47, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, per come richiamata nell'art. 6, par. 1, del Trattato sull'Unione europea (T.U.E.), debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice nazionale di non applicare la normativa nazionale (nella fattispecie l'art. 34, comma 2°, codice di procedura penale, come risultante dall'interpretazione effettuata dalla Corte costituzionale) che esclude l'incompatibilita' alla funzione di giudice dell'udienza preliminare del giudice che, avendo ravvisato, nel corso della stessa udienza preliminare, un fatto diverso da quello contestato, abbia invitato il pubblico ministero a procedere, nei confronti della stesso imputato e per il medesimo fatto storico, alla modifica dell'imputazione, invito cui il pubblico ministero abbia aderito. Com'e' noto, il principio del primato del diritto comunitario impone al giudice nazionale l'obbligo di applicazione integrale delle norme elaborate nell'Unione europea per dare al singolo la tutela che quel diritto gli attribuisce, disapplicando di conseguenza la norma interna confliggente, sia anteriore che successiva a quella comunitaria; ove sorgano questioni di conflitto con una norma interna, il giudice nazionale deve disapplicare quest'ultima, mentre se vi sono dubbi sull'interpretazione della norma comunitaria che non puo' risolvere interpretando tale norma, il giudice nazionale, mai disapplicando la norma comunitaria, puo' sollevare la questione pregiudiziale sull'interpretazione della stessa davanti alla Corte di giustizia a norma dell'art. 267 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (il rinvio pregiudiziale interpretativo e' obbligatorio solo per i giudici nazionali di ultima istanza). La richiesta della difesa va rigettata perche' l'oggetto della causa non presenta alcuna connessione con il diritto dell'Unione. Con riguardo ai rinvii pregiudiziali vertenti sull'interpretazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, va ricordato che, in forza dell'art. 51, par. l, della stessa, le disposizioni della Carta si applicano agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione. Occorre, pertanto, ai fini dell'ammissibilita' della domanda di pronuncia pregiudiziale, che una norma del diritto dell'Unione diversa dalla Carta sia applicabile al procedimento principale. In altre parole, il giudice nazionale non puo' chiedere alla Corte di giustizia di interpretare un diritto fondamentale sancito dalla Carta rispetto ad una vicenda controversa nella quale non e' in discussione il diritto dell'Unione europea. Questo perche' la Carta di Nizza non ha modificato i confini del diritto europeo, tenuto anche conto del contenuto dell'art. 5, par. 2, T.U.E. («In virtu' del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri») e, ancor di piu', del contenuto dell'art. 6, par. 1, T.U.E. («L'Unione riconosce i diritti, le liberta' e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati») e par. 2 («L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati»). In merito la Corte di giustizia, valorizzando la portata dell'art. 51 della Carta, ha, piu' volte, ribadito che (3) : le disposizioni della Carta si applicano agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione; in virtu' del par. 2 dell'art. 51, la Carta non estende l'ambito di applicazione del diritto dell'Unione al di la' delle competenze dell'Unione, ne' introduce competenze nuove o compiti nuovi per l'Unione, ne' modifica le competenze ed i compiti definiti nei trattati; le esigenze derivanti dalla tutela dei diritti fondamentali vincolano gli Stati membri in tutti i casi in cui essi sono chiamati ad applicare il diritto dell'Unione; ove una situazione giuridica non rientri nella sfera di applicazione del diritto dell'Unione, la Corte di giustizia non e' competente e le disposizioni della Carta eventualmente richiamate non possono giustificare, di per se', tale competenza (cfr. ordinanza 12 luglio 2012, Turra' e altri, causa C-466/11, punto 26 e sentenza Akerberg Fransson, punto 22). Pertanto, nonostante i diritti garantiti dall'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali costituiscano principi generali del diritto dell'Unione (cfr. art. 6, comma 3°, T.U.E.) (4) , per l'ammissibilita' del rinvio pregiudiziale, occorre che l'oggetto della causa principale presenti una connessione con il diritto dell'Unione; in assenza di alcun elemento di collegamento della causa principale con una qualsivoglia delle situazioni previste dalle disposizioni del Trattato e non vertendo la causa principale sull'applicazione di misure nazionali mediante le quali lo Stato membro dia attuazione del diritto dell'Unione, non vi e' competenza della Corte di Giustizia a risolvere la domanda pregiudiziale (cfr. Corte giust. 1° marzo 2011, causa C-457/09, Chartry; Corte giust. 7 febbraio 2013, causa C-498/12, Pedone c. N). Nella fattispecie in esame, la Corte di giustizia dell'Unione europea e' manifestamente incompetente a rispondere alla questione posta dalla difesa perche' l'oggetto del procedimento principale non involge l'interpretazione o l'applicazione di una norma dell'Unione diversa da quelle di cui alla Carta e non vi e' alcun elemento di collegamento della controversia con una normativa nazionale di attuazione del diritto dell'Unione ai sensi dell'art. 51, par. 1, della Carta stessa. Pertanto la domanda di rinvio pregiudiziale va disattesa. 4. La questione di legittimita' costituzionale. Deve essere sollevata, di ufficio, la questione la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2°, del codice di procedura penale - nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' alla funzione di trattazione dell'udienza preliminare per il giudice che, avendo ravvisato, nel corso della stessa udienza preliminare, un fatto diverso da quello contestato, abbia invitato il pubblico ministero a procedere, nei confronti dello stesso imputato e per il medesimo fatto storico, alla modifica dell'imputazione ed il pubblico ministero abbia a tanto aderito - perche' in contrasto con l'art. 117, comma 1°, della Costituzione, in relazione all'art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, con riguardo all'imparzialita' del giudice, secondo l'interpretazione consolidata fornita della Corte di Strasburgo. Sul piano procedurale, non ricorre la preclusione del ne bis in idem derivante dall'ultimo comma dell'art. 137 della Costituzione perche' la questione di legittimita' costituzionale che si solleva con la presente ordinanza e' del tutto diversa, per parametro invocato (art. 117, comma 1°, della Costituzione) e corredo argomentativo (violazione dell'art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, secondo l'interpretazione consolidata fornita della Corte di Strasburgo), rispetto a quella dichiarata non fondata dalla Corte con la sentenza n. 18/2017. Consolidata e', infatti, la giurisprudenza costituzionale secondo cui, nel giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale, l'effetto preclusivo previsto, in forza del principio del ne bis in idem, dall'art. 24, comma 2°, legge n. 87/1953, alla riproposizione della questione nel corso dello stesso grado di giudizio, deve ritenersi operante soltanto allorche' risultino identici tutti e tre gli elementi che compongono la questione, vale a dire le norme impugnate, i profili di incostituzionalita' dedotti e le argomentazioni svolte a sostegno della ritenuta incostituzionalita', a nulla rilevando l'analogia delle finalita' perseguite (cfr. sentenza n. 225/1994 e 113/2011). In caso di contrasto tra norma interna e norma convenzionale non risolvibile in via interpretativa, il giudice nazionale non puo', a differenza di quanto avviene per le norme comunitarie provviste di effetto diretto, applicare direttamente la norma Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, disapplicando la norma interna contrastante, ne' tantomeno puo' fare applicazione della norma interna ritenuta in contrasto con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ma deve sollevare la questione di legittimita' costituzionale con riferimento al parametro di cui all'art. 117, comma 1°, della Costituzione (cfr. Corte costituzionale, sentenze nn. 348/2007, 349/2007, 239/2009, 80/2011). Le norme della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali - nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione e applicazione (art. 32, par. 1, della Convenzione) - integrano, infatti, quali «norme interposte», il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, comma 1°, della Costituzione, nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli «obblighi internazionali». A sua volta, la Corte costituzionale, investita dello scrutinio, pur non potendo sindacare l'interpretazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali data dalla Corte europea, resta legittimata a verificare se, cosi' interpretata, la norma della Convenzione - la quale si colloca pur sempre a livello sub-costituzionale - si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della Costituzione: «ipotesi eccezionale nella quale dovra' essere esclusa la idoneita' della norma convenzionale a integrare il parametro considerato» (Corte costituzionale, sentenza n. 80/2011). Per le ragioni compiutamente esposte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 80/2011, alla cui lettura si rinvia (cfr., in particolare, par. 5.3, 5.4, 5.5), non e' possibile ritenere che il giudice comune, a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sia abilitato, nelle materie in cui non sia applicabile il diritto dell'Unione (come quella in esame (5) ), a disapplicare le norme interne ritenute incompatibili con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, senza dover attivare il sindacato di costituzionalita' (in tal senso, cfr. anche Cassazione sez. VI, 5 giugno 2014, n. 30059, Lamarmore ed altri, par. 7.2.1). L'art. 34, comma 2°, del codice di procedura penale - nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' alla funzione di trattazione dell'udienza preliminare per il giudice che, avendo ravvisato, nel corso della stessa udienza preliminare, un fatto diverso da quello contestato, abbia invitato il pubblico ministero a procedere, nei confronti dello stesso imputato e per il medesimo fatto storico, alla modifica dell'imputazione ed il pubblico ministero abbia a tanto aderito - e' in contrasto con l'art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, nella parte in cui stabilisce che «ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata ... da un tribunale ... imparziale ...», secondo l'interpretazione consolidata fornita dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. La Corte di Strasburgo, nelle numerose pronunce rese (6) , ha fornito un quadro completo della nozione di imparzialita' (da intendersi come assenza di pregiudizi o preconcetti) recepita dalla Convenzione, stabilendo che, affinche' il principio sia rispettato, il tribunale deve essere imparziale soggettivamente ed oggettivamente. Sotto il primo profilo (cd. criterio soggettivo), nessun componente del tribunale deve avere pregiudizi personali verso l'imputato o un interesse personale a giudicare il singolo caso; tale imparzialita' si presume fino a prova contraria. Sotto il secondo profilo (cd. criterio oggettivo), occorre escludere ogni legittimo dubbio sull'imparzialita' del giudice, anche apparente e non dipendente dalla sua condotta personale. Ai fini del test oggettivo, si deve accertare se, a prescindere dalla condotta personale del giudice, ci siano dei fatti che possano sollevare dubbi sulla sua imparzialita'. Si e' poi osservato che non esiste un'assoluta separazione tra l'imparzialita' soggettiva e quella oggettiva, in quanto la condotta di un giudice puo' non solo suscitare dubbi oggettivamente giustificati sulla sua imparzialita' dal punto di vista dell'osservatore esterno (criterio oggettivo), ma puo' anche riguardare la questione della sua convinzione personale (criterio soggettivo) (7) . La Corte europea dei diritti dell'uomo ha sottolineato che anche le apparenze possono avere una certa importanza in quanto «non si deve solo fare giustizia, ma si deve anche vedere che essa e' fatta» (sent. De Cubber c. Belgio, 26 ottobre 1984, § 26; sentenza 28 gennaio 2003, Dell'Utri c/ Italia; sentenza n. 68955/11 del 15 gennaio 2015, Dragojevic c/ Croazia); questo perche' in una societa' democratica i giudici devono ispirare fiducia nel pubblico, a partire dalle parti del processo (cfr. Kleyn e altri c/ Paesi Bassi, n. 39343/98; Morice c/ France, n. 29369/10, §§ 73-78). Per decidere se, in un determinato caso, vi siano dei motivi legittimi per temere che tali requisiti non siano rispettati, il punto di vista di una delle parti del processo e' importante, ma non decisivo; cio' che e' decisivo e' se il timore della parte interessata possa essere ritenuto «obiettivamente giustificato» (cfr. Sacilor-Lormines c/ France, n. 65411/01, § 63; Morice c/ France, n. 29369/10, § 76). Nella fattispecie in esame, l'antinomia tra la norma interna e quella convenzionale si coglie con riguardo al profilo oggettivo dell'imparzialita' ed il difetto e' di natura funzionale (8) . La Corte europea dei diritti dell'uomo ha chiarito che il solo fatto che il giudice penale investito del processo abbia assunto, nell'ambito del medesimo procedimento, decisioni sul caso il cui merito e' poi chiamato a giudicare, comprese decisioni riguardanti la custodia cautelare, non puo' di per se' solo comportare un difetto di imparzialita'; tuttavia la natura e la portata di tali decisioni non sono irrilevanti (cfr. sentenza 24 febbraio 1993, Fey v. Austria, § 30; Sainte-Marie v. France, § 32; Nortier v. the Netherlands, § 33) perche', nelle ipotesi in cui le stesse richiedano un «elevato grado di chiarezza» in ordine al tema della responsabilita' dell'imputato (sent. 24 maggio 1989, Hauschildt v. Denmark, § 49-52), ovvero vi sia coincidenza tra il profilo contenutistico della decisione preprocessuale e il merito della causa (sent. n. 68955/11 del 15 novembre 2015, Dragojevic c/ Croazia (9) ), deve ritenersi minata l'imparzialita'. Con riguardo alle altre fasi del procedimento, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto che non si pone una questione di difetto di imparzialita' solo quando il giudice abbia pronunciato in dette fasi decisioni di tipo meramente formale e procedurale, ma non anche quando abbia espresso un'opinione sulla responsabilita' dell'imputato (Gomez de Liano y Botella v. Spain, §§ 67-72; sentenza 24 giugno 2010, Marcel e Branquart c. Francia). In virtu' dell'importanza assunta anche dalle apparenze, e' sufficiente, affinche' sia leso il principio di imparzialita', che il giudice abbia valutato - non importa se nella stessa fase o in altra fase - i fatti della causa, esprimendo un'opinione su di un aspetto del merito della controversia (cfr. sentenza Grande Camera n. 4455/10 del 27 aprile 2014, Margus c/ Croazia,§ 47, che ha escluso la violazione perche', nel pregresso procedimento, «non sono stati valutati i fatti della causa, ne' e' stata esaminata la questione della colpevolezza del ricorrente. Il giudice M.K. non ha pertanto espresso un'opinione su alcun aspetto del merito della causa»). Si deve, dunque, ravvisare una violazione del principio di imparzialita' ogni qual volta le attivita' poste in essere anteriormente dal giudice siano tali da far ritenere oggettivamente riscontrata una sostanziale anticipazione del giudizio, sia per l'estensione dei poteri affidati, sia per l'approfondita conoscenza degli elementi di prova su cui poi sara' chiamato a rendere la sua decisione nel merito (10) . L'interpretazione fornita dalla Corte EDU - assolutamente consolidata - del principio di imparzialita' valorizza il profilo contenutistico della decisione assunta e non il momento in cui essa viene resa nella sequenza procedimentale. Nella fattispecie in esame, non vi e' dubbio, come riconosciuto dalla Corte costituzionale, che il giudice, «sollecitando il pubblico ministero a modificare l'imputazione per diversita' del fatto, ... esterna un convincimento sul merito della regiudicanda». Inoltre, siffatta esternazione e' strettamente connaturata alla natura del sindacato esercitato nello specifico contesto: come riconosciuto dalla Corte costituzionale, «nel momento in cui accerta che il fatto e' diverso da come descritto nell'imputazione, il giudice compie... una penetrante delibazione del merito della regiudicanda, non dissimile da quella che, in mancanza di una valutazione della diversita' del fatto, conduce alla definizione con sentenza del giudizio di merito». Cio' e' sufficiente ad inficiare l'imparzialita' del giudice, come interpretata dalla Corte di Strasburgo, a prescindere dal fatto che la valutazione contenutistica sulla «medesima regiudicanda» sia stata effettuata nella stessa fase processuale e non in una fase precedente e distinta. Il criterio della identita'/diversita' di fase fornito dalla Corte costituzionale nell'esegesi dell'art. 34, comma 2°, del codice di procedura penale, relativo alla disciplina delle incompatibilita' endoprocessuali di tipo orizzontale, non appare in linea con l'art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, perche' non tiene conto della natura e della portata della decisione incidentale adottata dal giudice, nonche' del tipo di sindacato a questi assegnato nello specifico contesto. La preesistenza di una valutazione sulla medesima regiudicanda, quando anche compiuta nella stessa fase, rende attuale e concreto il rischio che la valutazione conclusiva di responsabilita' sia, o possa apparire, condizionata dalla propensione del giudice a confermare una propria precedente decisione: in tal caso, la Corte europea dei diritti dell'uomo presume,iuris et de iure, la sussistenza del pregiudizio. Ma la violazione della garanzia dell'imparzialita' si coglie anche sotto un altro profilo, sempre di natura funzionale. Il giudice, invitando il pubblico ministero a modificare l'imputazione per la ritenuta diversita' del fatto contestato, non solo effettua (esternandola all'imputato) una penetrante delibazione del merito della regiudicanda, non dissimile da quella che dovra' poi effettuare nella decisione del merito della causa, ma concorre all'esercizio della funzione tipica dell'accusa nel processo penale, vale a dire alla contestazione del fatto e, cioe', alla definizione dello stesso perimetro del giudizio. L'assunzione, da parte del giudice, del ruolo del pubblico ministero e' stata censurata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella sentenza del 20 settembre 2016, causa n. 926/08, Karelin c/ Russia, perche' cio' puo' causare una confusione tra il ruolo dell'accusa e quello del giudicante e puo' condurre legittimamente a dubitare dell'imparzialita' di quest'ultimo. Nel caso deciso dalla Corte europea dei diritti dell'uomo la confusione derivava dall'assenza di una qualsiasi autorita' che rappresentasse l'accusa in giudizio; tuttavia, dalla lettura della sentenza, emerge come la Corte europea dei diritti dell'uomo stigmatizzi, perche' foriera di dubbi sull'imparzialita', l'assunzione da parte del giudice del ruolo del pubblico ministero. Evidente appare, quindi, il contrasto tra l'art. 34, comma 2°, c.p.p. - nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' alla funzione di trattazione dell'udienza preliminare per il giudice che, avendo ravvisato, nel corso della stessa udienza preliminare, un fatto diverso da quello contestato, abbia invitato il pubblico ministero a procedere, nei confronti dello stesso imputato e per il medesimo fatto storico, alla modifica dell'imputazione ed il pubblico ministero abbia a tanto aderito - e l'art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella parte in cui stabilisce che «ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata... da un tribunale... imparziale...», secondo l'interpretazione consolidata fornita dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, che prescinde dalle scansioni processuali. L'antinomia non puo' essere risolta in via interpretativa perche' il giudice delle leggi, con la sentenza n. 18/2017, vincolante nel presente giudizio, ha affermato la compatibilita' con gli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione della norma ritenuta in contrasto con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, con la conseguenza che, in assenza di una diversa pronuncia, il giudizio deve proseguire innanzi allo scrivente. Alla situazione considerata non puo', come evincibile anche dalla sentenza n. 18/2017, farsi fronte mediante l'istituto dell'astensione, il quale - al pari di quello della ricusazione - mira a porre rimedio a comportamenti del giudice, anche estranei all'esercizio della funzione, che possono determinare un pregiudizio per l'imparzialita' da apprezzare in concreto: mentre nel caso in discussione la configurabilita' di un simile pregiudizio e' riscontrabile gia' sul piano astratto, in conseguenza della decisione precedentemente adottata e della sua intrinseca natura. Non vi e' alcuna incompatibilita' tra la garanzia dell'imparzialita' del giudice di cui all'art. 6, par. 1, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, e la Costituzione sotto il profilo del buon andamento dell'amministrazione della giustizia (art. 97 della Costituzione) - vale a dire dell'esigenza di evitare «una assurda frammentazione del procedimento, che implicherebbe la necessita' di disporre per la medesima fase del giudizio di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere» - perche', nella prospettiva convenzionale, non tutti gli apprezzamenti incidentali, anche di merito, sono idonei a determinare la lesione della garanzia dell'imparzialita' del giudice, ma solo quelli che presentano un profilo contenutistico analogo a quello richiesto per la definizione del merito della causa: occorre, quindi, valutare la natura e la portata delle singole decisioni incidentali, in relazione al tipo di sindacato esercitato nello specifico contesto, e la lesione della garanzia dell'imparzialita' potra' ritenersi sussistente solo quando il profilo contenutistico della valutazione effettuata nella fase incidentale non sia dissimile da quello che dovra' essere compiuto nell'esame del merito della causa. Infine «il risultato complessivo dell'integrazione delle garanzie dell'ordinamento» e' «di segno positivo», nel senso che dall'incidenza della norma Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali sull'art. 34 del codice di procedura penale deriva un plus e non un minus di tutela per tutto il sistema nazionale dei diritti fondamentali (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 317/2009). Tutti i giudici italiani - compresa la Corte costituzionale, come riconosciuto dalla stessa Corte - devono applicare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che e' stata incorporata nell'ordinamento interno per effetto della legge (ordinaria) n. 848/1955 di autorizzazione alla ratifica ed ha un ruolo sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria, salvo il caso, del tutto eccezionale e certamente non sussistente nella fattispecie in esame, in cui la norma Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, come interpretata dalla sua Corte, sia essa stessa in contrasto con la Costituzione: ipotesi nella quale si imporra' la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge di adattamento alla Convenzione, nella parte in cui consente l'ingresso nell'ordinamento di una norma incostituzionale (11) . La sopra esposta questione di legittimita' costituzionale e', ai sensi dell'art. 23, comma 2°, legge n. 87/1953, assolutamente rilevante nel procedimento pendente perche' esso non puo' essere definito indipendentemente dalla sua risoluzione, dovendo, allo stato, questo giudice procedere alla celebrazione dell'udienza preliminare nonostante abbia gia' effettuato una «penetrante delibazione del merito della regiudicanda», non dissimile da quella richiesta per la definizione del merito: la prosecuzione del giudizio comporterebbe una violazione dell'art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, secondo l'interpretazione consolidata fornita dalla Corte di Strasburgo. Cio' obbliga questo giudice a sollevare la questione di costituzionalita'. (1) L'art. 600-ter, comma 1°, del codice penale, nella lettura datane dalla Suprema Corte, si pone come disposizione volta a reprimere le piu' gravi condotte di aggressione ad una serena evoluzione dell'identita' sessuale del minore realizzate attraverso un contesto di organizzazione almeno embrionale e di destinazione anche potenziale del materiale pornografico alla successiva fruizione di un numero imprecisato di terzi (cfr. Cassazione sez. III, 11 marzo 2010, rv. 246982). (2) Con l'ordinanza n. 269/2003, la Corte - pronunciandosi espressamente per l'ipotesi di ripetizione della trattazione dell'udienza preliminare da parte dello stesso magistrato che, all'esito di una precedente udienza preliminare riguardante lo stesso imputato ed il medesimo fatto storico, abbia disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero, avendo ravvisato un fatto diverso da quello formalmente descritto nell'imputazione contestata - ha ritenuto la questione manifestamente infondata perche' gia' rientrante, a seguito della sentenza n. 224/2001, nel raggio d'azione dell'istituto dell'incompatibilita'. (3) Cfr. Corte giust. 5 ottobre 2010, causa C-400/10 PPU, J McB; Corte giust. 12 novembre 2011, causa C-339/10, Asparuhov Estov ed altri; Corte giust. 1° marzo 2011, causa C-457/09, Chartry; Corte giust. 15 novembre 2011, causa C-256/11, Deraci e altri. In senso conforme, cfr. Corte costituzionale, sentenze nn. 80 e 303 del 2011 e Cassazione SS. UU. Civili, 13 giugno 2012, n. 9595, secondo cui «la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, alla luce della clausola di equivalenza sancita dall'art. 52, par. 3, non ha determinato una «trattatizzazione» indiretta e piena della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, la quale e' predicabile solo per le ipotesi nelle quali la fattispecie sia disciplinata dal diritto europeo e non gia' da norme nazionali prive di alcun legame con il diritto dell'Unione europea». (4) Il comma 2° dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, come si evince dalle Spiegazioni, corrisponde all'art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. (5) Cfr. precedente paragrafo. (6) Cfr., a titolo meramente esemplificativo, sentenze Padovani c. Italia (26 febbraio 1993); Thomann c. Svizzera (10 giugno 1996); Ferrantelli e Santangelo c. Italia (7 agosto 1996); Castillo Algar c. Spagna (28 ottobre 1998); Perote Pellon c. Spagna (25 luglio 2002); Gomez de Llano y Botella c. Spagna (22 luglio 2008); Wettstein c. Svizzera (n. 33958/98); Morel c. Francia (n. 34130/96); Cianetti c. Italia (n. 55634/00); Kyprianou v. Cyprus; Micallef v. Malta; Piersackv. Belgium; Grieves v. the United Kingdom. (7) Cfr. sentenza n. 73797/01, Kyprianou v. Cyprus, § 119. (8) Nella sentenza Kyprianou v. Cyprus, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha precisato che ci sono due possibili situazioni in cui puo' venire in rilievo il difetto di imparzialita' del giudice: la prima e' di natura funzionale e riguarda, ad esempio, l'esercizio di differenti funzioni da parte della stessa persona nel medesimo giudizio, oppure la presenza di collegamenti gerarchici o di altro tipo con un soggetto comunque coinvolto nel procedimento; la seconda e' di carattere personale e deriva dalla condotta tenuta dal giudice in un caso specifico. (9) La Corte europea dei diritti dell'uomo ha escluso la violazione dell'imparzialita' in un caso in cui la decisione preprocessuale aveva ad oggetto la proroga della custodia sulla base del rilievo che «le domande cui il giudice deve rispondere quando adotta decisioni relative alla proroga della custodia non sono identiche a quelle determinanti per il suo giudizio finale. Quando adotta una decisione sulla custodia cautelare e altre decisioni preprocessuali di questo tipo, il giudice valuta sommariamente i dati disponibili al fine di accertare se esistano motivi sufficienti per sospettare che l'imputato abbia commesso un reato; quando emette una sentenza alla conclusione del processo egli deve valutare se le prove che sono state presentate e discusse in tribunale siano sufficienti a dichiarare la colpevolezza dell'imputato. I sospetti e la formale pronuncia giudiziale della colpevolezza non devono essere considerati la stessa cosa (si veda Jasiński c. Polonia, n. 30865196, § 55, 20 dicembre 2005)» (§ 115); nel caso di specie, la Corte europea dei diritti dell'uomo (par. 116) ha ritenuto che, «nella valutazione i giudici hanno tuttavia fatto riferimento al reato solo come a «l'oggetto delle accuse», formula che non comunicava la loro convinzione che il ricorrente avesse commesso i reati in questione e che non puo' essere considerata equivalente a una pronuncia pregiudiziale sulla colpevolezza (si confronti Jasiński, sopra citata, § 56, e, per contro, Romenskiy, sopra citata, § 28)». (10) Cfr. sentenza De Cubber comma Belgio, 26 ottobre 1984, § 29-30; 11 luglio 2013, Rudnichenko c/ Ucraina, §·115; 25 luglio 2000, Tierce ed altri c/ San Marino; (11) Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 49/2015.